Posts written by missholly

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view post Posted: 11/2/2018, 12:55     Siero senza oli - Serve un consiglio? Scrivi qua e ti aiuteremo!
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view post Posted: 13/7/2017, 09:48     Siero senza oli - Serve un consiglio? Scrivi qua e ti aiuteremo!
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view post Posted: 11/4/2017, 17:05     IL BIKINI - Di tutto un pò!
Il BIKINI

In antichità completi composti da gonnelline, perizomi o slip allacciati sui fianchi (subligaculum) abbinati a fasce copriseno (strophium), bustini e piccole tuniche monospalla o legate dietro il collo in lino semitrasparente, cuoio, lana o cotone grezzo, erano spesso indossati da acrobate, circensi, ballerine, teatranti, cantanti e musiciste che si esibivano nelle corti e case aristocratiche in Mesopatamia, Egitto e Impero Romano e in quelle poche civiltà, come la città di Sparta, in cui non era considerato disdicevole per le donne abbronzarsi e fare attività fisica all'aperto.

Particolari dei mosaici romani di Villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia
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Alcuni modelli da spiaggia a due pezzi erano già stati sperimentati durante il Novecento come i top a fascia con pantaloni lunghi e bretelle degli anni '20 o gli shorts e bermuda al ginocchio con canotte più o meno scollate degli anni '30 fino all'Atome di Jacques Heim degli anni '40 definito "il costume da bagno più piccolo del mondo" a causa del razionamento di tessuti dovuto al periodo di guerra, con reggiseno ampio, rinforzato e strutturato e mini gonne-pantalone, pantaloncini o coulotte morbide a vita alta o altissima che lasciavano intravedere solo una piccola striscia di pelle nuda.

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L'Atome
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La nascita ufficiale del Bikini, ispirato agli esperimenti nucleari sull'omonimo atollo delle isole Marshall, è considerata il 5 Luglio 1946 quando l'ingegnere meccanico erede di una piccola casa di lingerie francese Louis Rèard fa sfilare la modella e spogliarellista Micheline Bernardini con una versione aggiornata e ridotta dell'Atome conservata in una scatolina quadrata di soli 51 mm di diametro: un insieme ben più audace e rivelatorio della maggior parte della biancheria intima dell'epoca con mutandine triangolari aderenti e sgambate che scoprivano completamente la pancia mostrando per la prima volta in pubblico ombelico, fianchi e parte dei glutei. L'impatto mediatico fu immediato ed esplosivo come una piccola bomba atomica; per 15 anni negli Stati Uniti indossare un bikini troppo striminzito verrà ritenuto un atto criminale e illegale punibile con multe e detenzione preventiva mentre nei paesi conservatori di stampo cattolico come Spagna e Italia sarà bandito dalle spiagge e giudicato a lungo un capo peccaminoso, immorale, osceno, quasi pornografico, inadatto a una donna perbene di sani principi.

Micheline Bernardini con il prototipo originale di Louis Rèard
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Jacques Heim rivoluziona completamente l'Atome nella primavera del 1946, 2 mesi prima di Rèard; i due si sono sempre contesi la paternità del primo due pezzi dell'era moderna
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Il mondo dello spettacolo contribuirà a placare gli animi e a diminuire i pregiudizi inserendo il bikini in contesti allegri, giocosi e innocenti come il tormentone musicale "Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini" di Brian Hyland del 1960 che vendette milioni di copie in tutto il mondo e fu replicato e tradotto in decine di lingue diverse, italiano compreso, e i film per la famiglia di genere beach romance con storie sentimentali romantiche e corteggiamenti tradizionali con tocchi di seduzione leggera e inconsapevole, senza malizia. A differenza delle pin-up e sex bomb degli anni '40 e '50, che venivano rappresentate e percepite come oggetti sessuali, le attrici degli anni '60 come Brigitte Bardot, Raquel Welch e Ursula Andress, scelgono il bikini nella vita privata e sul set come simbolo di forza e indipendenza, per dare maggior carattere e personalità alle eroine interpretate sullo schermo.

Brigitte Bardot in "Manina, ragazza senza veli" conosciuto anche come "The lighthouse keeper's daughter" o "The girl in the bikini" del 1952 e in spiaggia al Festival di Cannes nel 1957. B.B. è stata la prima attrice importante ad osare il bikini, seguita poco dopo da Marilyn Monroe e Rita Hayworth; le sue immagini sono state un'ottima pubblicità indiretta e hanno contribuito ad aumentare le vendite sul suolo americano.
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Ursula Andress nel 1962 nei panni della bond girl Honey Rider in "Agente 007- Licenza di uccidere" con Sean Connery. In realtà indossava la sua solita biancheria foderata e decorata dai costumisti perchè la maggior parte dei costumi bianchi dell'epoca era troppo trasparente.
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"Beach Party" (1963), uno dei beach romance più popolari del periodo. L'attrice protagonista Annette Funicello dovette lottare per ogni singola scena col produttore Walt Disney che voleva imporle il costume intero.
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Pelle scamosciata per Raquel Welch in "Un milione di anni fa" di Don Chaffey (1966)
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Durante gli anni '50 i costumi da bagno più venduti rimangono l'intero e le varianti dell'Atome più caste e coprenti, in colori pastello, decorati con rouches e volant, pois, righe, fantasie floreali o d'ispirazione marinara. Il bikini vero e proprio si afferma lentamente lungo gli anni '60 partendo dal Nord Europa, in particolare da Francia, Germania e Svezia, per poi diffondersi e diventare un fenomeno di massa e parte integrante della cultura pop nei decenni successivi. Negli anni '70 le linee e la struttura si semplificano e alleggeriscono, la vita si abbassa, le proporzioni si riducono e la forma predominante è quella triangolare con laccetti sottili, sia per la parte superiore che inferiore. Gli '80 e i '90 sono dominati da blocchi di colori vivaci, vitaminici, neon o fosforescenti, con stampe vistose, i reggiseni, con o senza spalline, tornano ad avere maggior supporto, a volte con coppe preformate o imbottite, gli slip a vita alta sono fortemente sgambati e diventano di uso comune tanga, brasiliani e perizoma.

Marylin Monroe
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Rita Hayworth
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Mariangela Melato nel 1974 in "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto" di Lina Wertmüller
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Carrie Fisher in "Star Wars" nel 1983 con il mitico bikini dorato della principessa Leila
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Fino all'invenzione della Lycra e l'avvento di altre fibre sintetiche simili, sottili, traspiranti, flessibili e impermeabili, la maggior parte dei costumi era realizzata in lana, maglina, spugna, tela, seta, cotone operato, pizzo, uncinetto, ecc materiali rigidi, inadatti, che perdevano facilmente la forma originale, si stingevano sotto il sole e, una volta bagnati, non si asciugavano mai del tutto e diventavano così pesanti da impedire alcuni movimenti.
view post Posted: 20/2/2017, 11:59     I PANTALONI - Di tutto un pò!
I PANTALONI

Per secoli, e fino a buona parte del Novecento inoltrato, indossare pantaloni in pubblico per una donna del mondo occidentale era considerato un atto sacrilego, scandaloso, immorale, rivoluzionario dal punto di vista sociale e politico, addirittura criminale punibile con carcere e pene corporali. Un primo coraggioso tentativo di pantalone femminile furono i "bloomers" nel 1850 , molto gonfi, stretti alla caviglia e con il cavallo basso, da indossare rigorosamente sotto gli abiti tradizionali o lunghe tuniche, ideati e realizzati dal movimento culturale americano vegetariano e femminista creatosi attorno alla scrittrice Amelia Bloom. Immediatamente osteggiati e ridicolizzati da uomini e donne di ogni età e ceto, sono stati riproposti poco dopo, in un formato più allungato e asciutto, dalle suffragette inglesi come capo da infilare sotto la gonna "per migliorare l'igiene e la salute della donna" facilitandole azioni quotidiane come scendere e salire dalla carrozza o da cavallo e guidare le prime biciclette.

I bloomers di Amelia Bloom
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Durante i primi anni del '900 i pochi pantaloni proposti si distinguono in due categorie principali: orientaleggianti o sportivi. I primi sono un'idea dello stilista Paul Poiret, ispirati ai costumi di scena del tour francese del Ballet Russes, morbidi pigiami da casa e tute (jumpsuit) o harem pants alla turca, esotici, colorati, iperdecorati, quasi carnevaleschi, per attrici, ballerine e poche eccentriche e sofisticate dame dell'alta società che potevano permettersi di muoversi fuori dagli schemi consolidati. Ma il vero cavallo di Troia, lo spiraglio attraverso cui il genere femminile potè finalmente assaporare un abbigliamento più comodo e pratico che permettesse di muoversi in libertà, fu lo sport: breechers (molto stretti dal ginocchio in giù per entrare negli stivali, più larghi sui fianchi) da equitazione e aviazione, knickerbockers ("alla zuava", rimborsati sotto il ginocchio) da passeggiata in campagna e in montagna, gonne-pantalone da caccia, sci, pattinaggio e tennis; piccoli shorts e bermuda in maglina di lana per correre e nuotare; lunghi, ampi e fluidi pantaloni da spiaggia con gambale decorato, con spacco laterale, intagliato, plissettato o apribile con bottoncini da abbinare a una giacchetta morbida per le più timide o a una canotta scollata o un reggiseno a fascia con le bretelle per chi non aveva paura di essere giudicata e insultata per strada.

Andare in bicicletta indossando i pantaloni era considerata una doppia provocazione, un affronto alla morale oggetto di sermoni, interrogazioni parlamentari, barzellette e feroci vignette satiriche

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La futura regina Elisabetta d'Inghilterra con i breeches da equitazione, detti anche jodhpurs all'indiana
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Pantaloni corti per fare il bagno, lunghi per passeggiare in riva al mare
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Tute e harem-pants orientaleggianti di Paul Poiret
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L'abito-pantalone indossato da Lady Sybil nella prima stagione di Downton Abbey ricalca un famoso modello di Poiret
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L'unico momento in cui l'attenzione e la pressione sociale sull'argomento sembrano rallentare è durante la prima guerra mondiale quando le donne si trovano a sostituire gli uomini al fronte in fabbrica e nei campi; in questo contesto di grande fatica fisica vengono privilegiati capi universali come salopette in jeans e tute intere con maniche lunghe, colletto, bottoncini o zip centrale in tela di cotone (overall).


Negli anni '20 Coco Chanel presenta gli "slacks", i primi pantaloni d'ispirazione maschile interamente progettati sul corpo femminile, con vita risvoltabile, fianchi arrotondati, gambe lunghe e ampie con piega centrale, tasche a scomparsa e tessuti morbidi e fluidi. Chanel amava molto indossarli fuori Parigi (in città era ancora considerato un crimine) in contesti informali, in vacanza, in campagna, in spiaggia, ecc Il suo abbinamento preferito era con dolcevita monocolore o maglioncini chiari a righe orizzontali scure ispirati ai marinai bretoni. Pochi anni più tardi Elsa Schiaparelli, per cui il diritto ai pantaloni era importante quanto quello al voto, ne propone una versione più frivola ed eccentrica, com'era nel suo stile: al polpaccio, con vita altissima e gambe fortemente scampanate, molto simili ai coulottes tornati recentemente di moda.

Chanel ha indossato e perfezionato gli slacks per tutta la vita, a sinistra il primo paio in assoluto, cucito da sola da giovane ancora prima di cominciare la carriera di stilista
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A destra, Elsa Schiaparelli a Londra negli anni '30 con i suoi panta-coulottes
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Sailor-pants, slacks "alla marinara" con bottoncini decorativi in vita e sui fianchi, una delle varianti più alla moda fra gli anni '30 e '40
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I produttori di Hollywood continueranno ancora a lungo a imporre alle proprie attrici e spettatrici lo stereotipo della "donna con la gonna", femme fatale o fidanzata ideale; fra le poche a opporsi , due donne di grande carisma e dalla fortissima personalità come Marlene Dietrich e Katharine Hepburn. La Dietrich ha precorso i tempi, con il suo look androgino ha dimostrato che il fascino e la femminilità non dipendono da quanti centimetri di pelle viene esposta. Si faceva cucire e tagliare su misura completi giacca e pantalone che indossava senza paura sia sul set, ha fatto storia il suo frac con cilindro, gilet e papillon in "Morocco" nel 1930, che nella vita privata; nonostante fosse già una star di fama internazionale nel 1931 venne addirittura cacciata dal sindaco di Parigi per aver osato camminare per strada con le gambe coperte. Katharine Hepburn comprava gli scarponcini, i pantaloni ampi e le camicie che usava nella vita di tutti i giorni direttamente nei negozi di abbigliamento maschile; ne fece una forma di autoaffermazione che colpì nel profondo le sue ammiratrici che cominciarono a emularla vestendosi come lei.

Katharine Hepburn
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Marlene Dietrich con il frac in "Morocco" e per strada nel 1933 con un completo di Chanel
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Tra gli anni '50 e '60 negli Stati Uniti si diffonde l'abitudine, specialmente fra le ragazze più giovani, di arrotolare i jeans fra caviglia e ginocchio in situazioni di grande relax, in estate, in vacanza, fra le 4 mura di casa propria, in giardino, dopo la scuola, ecc Nello stesso periodo in Europa, con successo lento ma crescente, la stilista Sonja de Lennart propone come alternativa alla classica calzamaglia pesante per gli allenamenti di danza dei pantaloni fra caviglia e polpaccio, dalla linea asciutta e gamba aderente, di grande qualità sartoriale, in tessuti preziosi ma leggeri e traspiranti come raso, seta, sangallo, cotone di Vichy, operato e a nido d'ape. La prima a indossarli al di fuori dell'ambito sportivo, abbinati a un'ampia gonna a pareo che ne copriva il retro e parte dei fianchi, è stata Grace Kelly ma sono diventati famosi grazie a Audrey Hepburn e Brigitte Bardot, entrambe ex ballerine, e alle foto scattate dai paparazzi a Jackie Kennedy in vacanza a Capri da cui prenderanno il nome di capri-pants.


Nel 1966 la prima sfilata di smoking (tuxedo) al femminile di Yves Saint Laurent crea grande sconcerto e indignazione; nonostante le sue clienti, come Catherine Deneuve, fossero ricche, famose e ben inserite nell'alta società, vengono costrette a togliersi i pantaloni e usare la giacca come mini abito prima di entrare nei ristoranti e teatri più prestigiosi della città. A meno di due anni dai movimenti universitari del '68, nella progressista Parigi, a una donna "perbene" era consentito frequentare un locale pubblico in lingerie ma non con le gambe elegantemente avvolte in pantaloni da uomo.

Yves Saint Laurent con la sua musa Catherine Deneuve
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In molte zone d'Italia più isolate, rurali, conservatrici e provinciali, sparse a macchia di leopardo per la penisola, per tutti gli anni '70 una donna con addosso pantaloni a palazzo o a zampa d'elefante è ancora percepita come qualcosa di provocatorio, trasgressivo e giovanilista, quasi rivoluzionario. Solo dagli anni '80 inoltrati in poi, anche grazie ai dibattiti nazionali e internazionali accesi dal libro autobiografico "Volevo i pantaloni" di Lara Cardella del 1989 diventa ovunque parte della normale quotidianità.

Evan Rachel Wood ai Golden Globes 2017, omaggio a Marlene Dietrich e David Bowie

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view post Posted: 13/2/2017, 11:42     Il NEW LOOK - Di tutto un pò!
Il NEW LOOK

Nel 1946 Christian Dior travolge e conquista il mondo della moda con la "Ligne Corolle" che passerà alla storia con il nome di "New Look" per la sua forza evocativa e innovativa. Il completo principale attorno a cui viene costruita l'intera collezione è composto da una giacchina chiara, piccola e aderente, con le spalle strette, i fianchi arrotondati e la vita ben segnata detta T-Bar e una gonna scura, alla caviglia, ampia e voluminosa come la corolla di un fiore. L'insieme dona al corpo una forma sinuosa a clessidra, una boccata d'aria fresca rispetto al parallelepipedo rigido e sottile degli anni '40 con giacche lunghe dalle spalle ampie e imbottite e gonne più corte e rettangolari simili a divise militari.

Il primo completo T-Bar che ha dato origine al New Look
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Silhouette anni '40 a confronto, prima e dopo Dior
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Una gonna a ruota di Dior pesava circa 4 Kg, richiedeva in media 40 metri di stoffa per essere realizzata e poteva tranquillamente superare i 40.000 franchi; quello che per i critici è "un'enorme spreco di tessuto e denaro per un oggetto bellissimo ma inutile" diventa per le donne un simbolo di riscatto, una promessa consumistica di benessere e femminilità dopo i sacrifici della guerra, non a caso le prime gonne fai da te vengono imbastite sfruttando le coperte dell'esercito, i teli da oscuramento e i resti dei paracadute. Negli 11 anni successivi, fino alla sua morte, Dior propone ben 22 varianti (2 all'anno, una per stagione) della linea originale: a mughetto, a tulipano, a palloncino, profilata, allungata, diagonale, obliqua, ad A, a S, a H, a Y , a Y rovesciata, a sacchetto, a freccia, ecc giocando con i dettagli e le proporzioni, aumentando o diminuendo i volumi, alzando e abbassando gli orli (ma mantenendoli sempre sotto il ginocchio). Ottengono tutte un grandissimo successo e si diffondono a livello mondiale grazie a un ingegnoso sistema di brevetti e licenze per "copie originali" e "copie dal modello originale" inventato da Dior che anticipava nella moda i concetti di diritto d'autore, branding e copyright.

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Linea a tulipano, una delle poche con gonna più aderente
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Nella linea a mughetto la giacca è sostituita da camicette plissettate e aderenti
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Alcune delle varianti di New Look più popolari che si sono succedute negli anni
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Il "New Look" in realtà era un "old look" che si proponeva di restaurare forme, stili, convenzioni, ruoli sociali e familiari del secolo precedente. Dior, come molti stilisti omosessuali repressi dell'epoca, per tutta la vita cerca di proporre e replicare l'abbigliamento della madre, una dama dell'alta società conservatrice e austera che non ha mai smesso di vestirsi e comportarsi come se fosse ancora nell'800. I "nuovi" abiti da sera pesavano 20/30 Kg e, proprio come nella Belle Epoquè, avevano una struttura interna composta da numerosi strati di sottogonne in tulle e mussola, fodere in taffetà, bustini, stringivita e reggiseni imbottiti e rinforzati incorporati, parti di sostegno in legno, paglia, cuoio, metallo, ecc che provocavano dolore e rendevano molto più complicato respirare e fare da sole gesti semplici come camminare, sedersi, entrare e uscire dall'auto. Purtroppo ben poche donne sembrano rendersi conto di quella che dalle femministe inglesi viene definita "una gabbia dorata" e da Simone de Beauvoir "la prigionia dell'eleganza". Fra le poche voci fuori dal coro, Coco Chanel, che a 72 anni, dopo ben 15 anni di ritiro dalle scene, decide di riaprire l'atelier e tornare a lavorare per contrastare quello che considera un enorme passo indietro per l'emancipazione femminile, un colpo di spugna sulle conquiste degli anni '20 e '40. Può sembrare assurdo ma le donne in Europa hanno goduto di molta più libertà durante le guerre che dopo e, in generale, l'ideale femminile sorto dalle ceneri della prima guerra mondiale aveva molti più diritti di quello nato dopo la seconda. Dior avvolge la donna in un bozzolo di seta e la pone su un piedistallo, un bellissimo oggetto da ammirare, un angelo del focolare, madre-moglie-casalinga perfetta, racchiusa in bustini e stoffe così pesanti da impedirle di muoversi liberamente. Chanel, invece, pone la donna al centro del mondo, la rende un soggetto attivo, dinamico, indipendente, in grado di guidare, viaggiare, fare sport e lavorare. Se la battaglia dello stile ai tempi fu sicuramente vinta da Dior, la storia ha dato ragione a Chanel perchè tutte noi nell'armadio abbiamo decine di capi come i pantaloni o il tubino nero che consideriamo normali, quasi banali, solo grazie a lei.

"La belle jardiniere", tipico stereotipo dell'800 a cui Dior si è chiaramente ispirato per molte delle sue creazioni
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Lo stringivita, tornato di moda dopo 50 anni; la stratificazione di lingerie contenitiva e costrittiva era considerata parte integrante dell'abito da sera
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Se la cliente tipo in Europa era una donna giovane ma sposata, benestante, elegante e sofisticata, negli Stati Uniti la gonna a ruota diventa il capo preferito delle teenager, la prima generazione di ragazzine a cui è concessa la libertà di vivere la propria età, abbinata a una coda di cavallo, orecchini a cerchio e scarpe basse è la compagna perfetta per lanciarsi in balli scatenati a ritmo di rock'n roll e offre una scusa innocente per mostrare in modo casuale una porzione di gamba scoperta in più.


Durante gli anni '60 dominati dalla minigonna e da linee dritte, essenziali e geometriche, il New Look è considerato fuori moda, "uno stile per vecchie signore"; negli anni '70 la gonna a ruota riappare come gonnellone hippy e folk, una versione più informale, semplificata e allungata, in jeans, lino, velluto o cotone, decorata con dettagli etnici. Torna di gran moda, più pop e ironica, negli anni '80, gonfia, sopra o sotto il ginocchio, con vita elasticizzata, a balze, in tulle, a pois, damascata, con colori fluo, ecc spesso abbinata a collant o fuseaux (leggings) ricamati, a rete o in pizzo come nei video di Madonna e Cindy Lauper. Negli anni '90 diventa una vera e propria opera d'arte grazie ai pezzi unici dipinti a mano di Prada, ancora oggi esposti in alcuni dei musei d' arte contemporanea più importanti al mondo.

Madonna e Cindy Lauper negli anni '80 rivisitano l'abbinata bustino con gonna ampia degli anni '50
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view post Posted: 6/2/2017, 18:54     IL TUBINO NERO - Di tutto un pò!
IL TUBINO NERO

"L'utilitaria Ford della moda" secondo Vogue Usa, che per primo ne colse le grandi potenzialità, ovvero un modello universale, versatile, declinabile in mille varianti pur restando assolutamente riconoscibile, un nuovo classico destinato a influenzare la vita quotidiana per sempre.

Le petite robe noir nasce da un'intuizione geniale di Coco Chanel, alla costante ricerca di un'uniforme moderna, pratica ma elegante, in grado di accompagnare in ogni momento della giornata una nuova figura di donna più autonoma, dinamica e indipendente rispetto al passato, in grado di viaggiare da sola, guidare, fare sport e lavorare fuori casa.
Il primo in assoluto risale agli anni'20 (1° Ottobre 1926), ispirato alla lettere T e X e ai grembiuli austeri delle istitutrici dell'orfanotrofio in cui Chanel aveva passato l'infanzia, accollato, a maniche lunghe, longuette, con la vita leggermente rimborsata, accompagna dolcemente le forme del corpo invece di nasconderle o comprimerle grazie al tessuto morbido e fluido in jersey; in una tonalità tabù, di solito riservata ai periodi di lutto stretto e vedovanza, che si rivelerà estremamente contemporanea, dalla linea sobria, semplice e asciutta, in grado di passare dal giorno alla sera semplicemente cambiando gli accessori. Il successo su scala mondiale è immediato e sorprendente, viene subito replicato e imitato in migliaia di copie dai grandi couturier d'alta moda francese ai centri commerciali americani, dai costumisti di Hollywood fino alle sartine di quartiere e casalinghe fai da te.



Le flapper ne accorciano maniche e orlo, abbassano la vita e lo ricoprono di piume e lustrini, negli anni '30 grazie a Elsa Schiaparelli e Wallis Simpson raggiunge la dignità e l'importanza di un abito da cerimonia, nei '40 con Betty Boop, Betty Page e la "Gilda" di Rita Hayworth, diventa più scollato e si arricchisce di connotazioni più sensuali e maliziose, nei '50 si divide in due linee fondamentali, una con gonna ampia e voluminosa e una più stretta e aderente, entrambe sotto al ginocchio e con vita ben segnata, mentre nei '60 si trasforma in una cortissima tunica trapezoidale.
In Italia viene accettato a lungo con fatica, ancora nel '53 la giornalista Camilla Cederna lo giudica "un vestirello scemarello e stupidello", considerato ridicolo e scandaloso a causa delle gambe troppo scoperte, inadatte a un abito color funerale.

Versione flapper anni '20



Greta Garbo in Elsa Schiaparelli


Betty Boop, fedele al suo little black dress sin dagli anni '30


Rita Hayworth in "Gilda" di Charles Vidor nel 1946



Negli anni '50 si alternano uno stile più elegante e sofisticato ad uno più aderente, scollato e sensuale









Durante gli anni '60 le linee si semplificano e gli orli si accorciano vertiginosamente




Il momento di massimo successo coincide naturalmente con l'interpretazione del personaggio di Holly Golightly da parte di Audrey Hepburn in "Colazione da Tiffany" di Blake Edwards (1961). In realtà nel film vengono mostrati vari tubini neri molto diversi fra di loro che l'immaginario collettivo ha spesso unito e confuso in un unico perfetto ideale little black dress mai esistito. L'abito più famoso, indossato mentre mangia un croissant davanti alle vetrine della gioielleria, è un capolavoro d'alta sartoria, lungo fino alla caviglia, con uno scollo a mezzaluna sulla schiena, abbinato a guanti lunghi, occhiali da sole e collier di perle, realizzato con pochissime cuciture e un taglio magistrale di raso italiano dallo stilista francese Hubèrt de Givenchy, scelto personalmente dall'attrice. Nel 2006 è stato battuto all'asta da Christie's per 410.000 sterline, un prezzo decine di volte superiore al suo valore originale. In altre scene, invece, indossa tubini più corti, al ginocchio, con una cinturina di stoffa o gioiello in vita, scolli più ampi squadrati o tondeggianti, decorazioni come balze di frange, piume o pelliccia sul fondo della gonna, completati da buffi ma eleganti cappelli con lunghi nastri o grandi fiocchi. Non è chiaro se i costumi di scena più eccentrici, meno adatti alla vita reale, siano stati creati da Givenchy su esplicita richiesta del regista o se siano opera della storica costumista di Hollywood Edith Head che aveva il ruolo di supervisore, messa in ombra dallo stilista più famoso che se ne è preso il merito.

Audrey Hepburn aveva già scelto un tubino nero di Givenchy nel 1954 per "Sabrina" di Billy Wilder, questa volta con scollo dritto e gonna a ruota


Due modelli più corti ed eccentrici e il lungo di Givenchy indossati in "Colazione da Tiffany"






Negli anni '80, assieme al blazer con spalline imbottite, diventa il cardine del power suit, l'abito per eccellenza della donna di potere in carriera; negli anni '90 mostra due stili opposti e complementari, un ritorno alle origini essenziale, minimalista e geometrico, e un lato più giovane e grunge con dettagli in pelle abbinato a calze a rete, anfibi e camicie di flanella a scacchi. Negli anni 2000 l'interpretazione che più ha colpito il pubblico è sicuramente quella siculo-mediterranea di Dolce e Gabbana, allo stesso tempo erotica e austera, con influenze pagane e religiose, in cui il modello iniziale viene mescolato a guaine contenitive, vestagliette da casa da casalinga anni '50 e sottovesti in seta e pizzo.

Il "sicilian style" di Dolce e Gabbana




Come amava ripetere Coco Chanel, "la moda passa ma lo stile resta", il tubino nero è stato in grado di evolversi e adattarsi a ogni tipo di tempo, cultura, occasione, fisicità e ceto sociale, pur rimanendo sempre fedele a se stesso.

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